È il giorno del tuo compleanno, e
piove.
Più che piovere, sembra che tutte
le forze dell’Universo si siano raccolte per scatenare l’inferno. Una violenta
doccia gelata scesa dal cielo a lavare via il sudore di questi giorni.
Come quando oggi, sul ciglio dell’orto,
mi hai chiesto senza preavviso: e l’amore come ti va?
Ho scosso la testa, ma il tuo
sguardo mi ha fatto intendere che non era abbastanza. E non sapevo come levarmi
dall’imbarazzo. Non trovavo altre parole. Ma proprio in quel silenzio ci siamo
intese. In quella gola strozzata dall’emozione. Nello stomaco rappreso dalla
paura di essere viste in tutta la nostra fragilità. Penso al plurale, mentre il
sole è tornato a risplendere, senza più dominare da solo nell’azzurro, ma
circondato da soffici figure accotonate nelle forme più strane: ho visto
cammelli, foche, viandanti, aquiloni, visi sorridenti, visi pensierosi, visi
distratti, visi e basta.
Nel cielo riesco a vedere tutto
quello che mi va.
A volte prendo apposta la
bicicletta per osservarlo mentre vado. Un giorno pedalando ho notato che il
sole era d’un bianco pallido quasi anemico. E gli ho chiesto:sole, perché ?
Dov’e’ finito il tuo smalto dei tempi d’oro? Perché hai cambiato colore così,
senza motivo apparente?
Così si cresce, mamma, ho
pensato. Si cresce quando inizi a parlare non più delle cose, ma alle cose.
E alle persone.
Perché tutti abbiamo un’anima da
condividere. Storie da raccontare. Domande da eludere alzando lo sguardo fitto
fitto verso il cielo.
È così che si sopravvive.
Siamo nate per amare o per
sopravvivere?
Le tue braccia muscolose fanno
pensare alla seconda.
Hai lottato per restare a galla
mentre annaspavi in balìa della corrente. Il mare è sempre stato il nemico dei
tuoi desideri. Tu amavi e ami la terra, le cose curate da te che portano
beneficio, il frutto del seno tuo genuino, semplice, vero. Questo è l’amore che
volevi. Sentire i piedi ben saldi sulla terra. Amarne i frutti ogni giorno.
E invece il destino ti ha gettato
in un mondo sconosciuto. L’altamarea ove tutto è sommerso e non puoi mai
fermarti, devi nuotare, remare o per lo meno galleggiare. Immagino il terrore
della bimba che i genitori spingono in acqua per insegnarle a nuotare. E poi la
rabbia di non riuscire ad uscirne. La
terraferma non era così distante, mamma. E poi col tempo hai imparato che si
può navigare senza punti fermi, si può volare anche più in alto della propria
immaginazione, e si può correre calpestando i piedi via lontano dalla terra,
perché ce l’hai dentro quella terra, ed è lì che torni ogni volta a respirare
pace.
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